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Il dna dell’olio di oliva

Il dna dell’olio di oliva non è altro che il suo profilo genetico, la sua “carta d’identità”, e può darci informazioni circa la sua origine vegetale a scopo di tracciarne la provenienza. Tale biografia strutturale si ricava mediante meticolose analisi di laboratorio che permettono di identificare la cultivar di derivazione dell’olio, ovvero da quale varietà di olive provenga. Ciò avviene sia nel caso si tratti di mono-cultivar, sia in caso di blend, intese come miscele varietali; in quest’ultima ipotesi si può risalire al numero di percentuale presente per ogni tipo.

A cosa serve l’analisi del dna dell’olio?

L’analisi del dna dell’olio permette di tutelarsi dalle contraffazioni, verificando l’attendibilità delle etichette riportate sulle bottiglie. Infatti, attraverso questo test, è possibile evidenziare la presenza di una cultivar non specificata – o al contrario l’assenza di una di esse – riportata invece sulla bottiglia. La sua utilità è altresì utile per la verifica di un prodotto definito DOP e IGP. Se mediante l’analisi viene riscontrata la presenza di varietà di cultivar non ammesse dai disciplinari, ciò comporta una violazione delle norme di regolamentazione delle suddette certificazioni.

Come si esegue l’analisi sull’olio di oliva

Immaginiamo di trovarci in laboratorio e mettiamo sotto la lente d’ingrandimento questo test per capire come funziona e come viene eseguita l’analisi. Lo spiega la dottoressa Luciana Baldoni, del Cnr, Istituto di Bioscienze e Biorisorse di Perugia. Il dna viene ampliato attraverso una metodica particolare detta PCR (Polimerasi Chain Reaction – reazione a catena della polimerasi); a ogni sequenza del dna vengono applicati i “marker”, ovvero composti specifici sensibili a una precisa varietà d’olio. A questo punto si osserva quali marcatori si attivano, per redigere un elenco degli oli presenti in una determinata bottiglia e attestarne, come dicevamo, la veridicità. Capita piuttosto di frequente che oli spacciati per italiani al 100% siano invece di origine tunisina o spagnola.

Ma chi richiede l’esecuzione di questo test? Principalmente grandi aziende che vogliono accertarsi circa la qualità e l’effettiva origine dei lotti acquistati, o ditte produttrici, con l’intento di certificare l’attendibilità dell’olio di loro fattura.

Vantaggi e svantaggi di questo test

Il primo vantaggio emerge con il confronto rispetto ai test classici: in base a esami chimico-fisici, risultano forti somiglianze nelle componenti di oli prodotti da differenti cultivar. Inoltre, elementi chimici e metabolici risentono di influenze ambientali. Ma tutto ciò non accade con il test del dna dell’olio: infatti esso non viene alterato da fattori quali condizionamenti pedoclimatici.

Un altro aspetto positivo è il fatto che questo tipo di analisi è idoneo anche per verificare la provenienza di olive da mensa, in particolare quelle DOP. I vari trattamenti a cui vengono sottoposte, come l’immersione in salamoia per eliminarne il sapore amarognolo, nonostante tutto, non negano la validità del risultato.

Inoltre l’analisi è efficace nonostante gli effetti del tempo, a patto che l’olio non si sia eccessivamente ossidato, cosa che comunque renderebbe pressoché inutile l’effettuazione del test.

È facile l’estrapolazione del dna in caso di oli monovarietali, dato che la quantità di esso recuperabile è sufficiente per l’esecuzione del test, ma il discorso cambia se ci troviamo di fronte a un tipo di olio multi-cultivar [EA4] . In questo caso quando le miscele sono presenti in grande quantità, rimane difficile individuarle tutte e comprendere in quali percentuali giochino nella composizione del totale.

Molti processi a cui le olive vengono sottoposte come la frangitura, la gramolatura e denocciolatura, sono complici di una degradazione del dna, mentre il procedimento di centrifugazione e la filtratura in particolare, sono responsabili di una sua riduzione quantitativa. Considerato ciò, risulta più difficile eseguire l’analisi.

Infine, il test del dna dell’olio permette di risalire alla sola origine della varietà, non a quella geografica. Questo significa che si può capire da quale cultivar l’olio provenga, ma non dove sia avvenuto il processo di produzione dello stesso. Per fare un esempio, i risultati di un campione analizzato ci suggeriscono che un olio è stato ottenuto da una varietà d’olivo italiano, ma ciò non è garanzia del fatto che il processo di produzione sia avvenuto nello stesso paese, cioè l’Italia.

Ma il test del dna dell’olio è attendibile?

Ad oggi, sono stati eseguiti molti gruppi di ricerca su un buon numero di cultivar, attraverso utilizzo di altrettanti marcatori. Tali studi hanno permesso la raccolta di svariate informazioni genetiche, che creano una banca dati condivisa. L’esistenza di tutti questi dati consente di effettuare analisi con una buona probabilità di attendibilità.

Tuttavia è opportuno puntualizzare che i laboratori del Cnr di Perugia affermano che “tale metodo non è ancora accreditato e i risultati non possono essere impiegati per controversie legali”. Dello stesso avviso sono anche gli studiosi dell’Università della Calabria che sostengono il metodo sia valido solo in via sperimentale.

Sicuramente c’è ancora della strada da fare per sviluppare tutte le potenzialità di questi esperimenti, ma di certo le ricerche condotte sono a buon punto e forse un domani sarà possibile anche tracciare l’origine geografica del prodotto proprio grazie al test del dna dell’olio di oliva

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